Biafora tra la neve della Sila. Apre Hyle, focus sul territorio

da | Gen 10, 2020 | Stampa

Il cuoco calabrese avvia la sua nuova esperienza gastronomica dando vita ad un progetto fortemente locale che sorge ai piedi delle montagne; particolare attenzione allo stile architettonico.

Hyle è il nuovo progetto di Antonio Biafora, che continua il suo lavoro in Calabria, dopo il Biafora Restaurant, ristorante del complesso turistico di famiglia, il Biafora Resort&Spa, e che conferma la sua maturità e il suo talento. Nuovissima la struttura a ridosso della montagna della Sila (siamo in località Torre Garga San Giovanni in Fiore, Cosenza), interamente pensata e realizzata grazie al supporto professionale dell’architetto Francesca Arrighi e dell’ingegnere Giuseppe Pio Mazzei che hanno dato forma al progetto immaginato da Antonio Biafora avvalendosi esclusivamente di artigiani e operai della zona; un locale che apre le sue porte agli ospiti come una magione d’altri tempi, e che li introduce in una grande sala con quattro tavoli e grandi vetrate che danno sul verde del giardino.

Cucina a vista completamente aperta e un banco aperitivi dove iniziare il per- corso gastronomico degustando gli amuse-bouche dello chef in abbinamento a cocktail o bollicine. Parquet sul pavimento e un’intera parete dedicata all’arte, con un abete silano stilizzato, con intarsi d’oro realizzati dagli orafi del luogo. Domina la zona meditazione con vista sul giardino il camino sospeso, attorno al quale quattro confortevoli poltroncine invogliano al relax, magari sorseggiando qualche distillato scelto dalla bottigliera in noce. Legno di noce anche per la scala che porta in cantina, dove la temperatura è con- trollata grazie a un sistema di umidificazione per preservare le bottiglie che riposano in scenografiche rastrelliere sospese su un’intera parete della stanza, mentre per gli Champagne è arrivata dalla Francia una apposita pupitre.

Il concept di Hyle unisce due percorsi, quello personale di Antonio Biafora e quello territoriale, rappre- sentato dalla riscoperta della “via della pece”. «La pece bruzia – spiega Biafora – materia prima preziosa dai mille usi: medicina, ingegneria navale, artigianato, conservazione. La estraevano i boscaioli dal tronco del pino laricio incidendo canali a lisca di pesce. Così, riscoprendo un’antica e nobile usanza, mi sono imbattuto in un percorso, una via tutta nostra, più che mai singolare, la via della pece».

Il menu di Hyle è stato studiato da Antonio Biafora per mesi, le idee e le suggestioni di anni, le ricette legate alla storia della famiglia e quelle nate dai viaggi e dalle esperienze di lavoro, sono state realizzate sperimentando piatti, abbinamenti, cotture e preparazioni diverse, provando e riprovando consistenze, salse, marinature e ingredienti. Grande attenzione verso il vegetale, spesso protagonista assoluto dei piatti in carta, ma anche omaggi al bosco della Sila e ai suoi tesori, come nel caso degli Spaghetti ai funghi o ai viaggi in Oriente, che hanno contribuito alla creazione del Ramen di maiale, con noodles di grano saraceno.

Tra i prodotti simbolo della filosofia di Biafora, legata alla sostenibilità del territorio, la Trota, allevata in Sila, così come la Quaglia, un ricordo della cucina del nonno, che a Hyle evolve e viene finita nel barbecue, glassata con Kombucha e spolverata di semi di coriandolo macinati. Oltre alla scelta à la carte, l’offerta di Hyle prevede anche due menu degustazione, due vere e proprie strade della Calabria, a partire dal nome dei due percorsi, Pùzaly e Chjùbica. Il primo, di sette portate, prende il nome dal termine greco pisseres (resinoso), il secondo è il nome antico della strada che collega Paola a Cirò Marina e prevede 13 piatti, che rappresentano quasi altrettante tappe di un viaggio. Pùzaly racconta la cucina di Antonio Biafora racco- gliendo alcuni dei suoi piatti più interessanti, che esaltano materie prime importanti del territorio, come nel caso della Pasta e Alici, del Tortello di rapa, frittole di maiale e pecorino al bergamotto, della Lepre, con scalogno, puntarelle e sherbet di finocchio, o ancora della Faraona glassata, con ‘nduja e caffè, mentre Chjùbica libera all’ennesima potenza l’estro dello chef calabrese, con creazioni che reinventano tradizioni e ingredienti, una degustazione completa che parte dal vegetale “contaminato” del Porro e pollo liquido, passando per l’Animella di podolica, con burro alle acciughe e sorbetto di “mela scacciatella” e la Trota, cotta nella cenere, fino ai dessert “verdi” come la Verza bruciata, con clementine e mandorla amara.

Anche la carta dei dolci studiata con la pastry chef Francesca Mazzei per il ristorante ripercorre il concetto di sostenibilità e ricerca territoriale, ancora una volta osando su abbinamenti arditi che sorprendono il palato e lo sguardo, come nel caso della Pigna con resina di pino o del pre-dessert Uovo, ripieno di crema al Mezcal su una base di tartare di sedano aromatizzata all’olio di cipresso, realizzato con un’infusione degli aghi dell’albero.